Un lavoro di serio e complesso approfondimento giornalistico magistralmente realizzato. Le immagini raccontano in presa diretta il dramma di una nazione e della sua classe politica.
Motivazioni della Giuria
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Un lavoro di serio e complesso approfondimento giornalistico magistralmente realizzato. Le immagini raccontano in presa diretta il dramma di una nazione e della sua classe politica.
Motivazioni della Giuria
They Are Slaughtering Us Like Animals (Ci stanno massacrando come bestie)
Questo reportage riguarda la brutale campagna contro la droga del presidente Rodrigo Duterte nelle Filippine.
Si viene a sapere di un omicidio ancor prima di vederlo: le grida disperate di una nuova vedova, le sirene dal suono acuto delle auto della polizia, il ticchettio della pioggia sull’asfalto di un vicolo di Manila e sulla schiena di Romeo Torres Fontanilla. Tigas, come era conosciuto il signor Fontanilla, giaceva prono sulla strada quando ho accostato dopo l’una di notte. Aveva 37 anni. Dei testimoni dicono che l’uomo è stato ucciso a colpi di pistola da due uomini in moto di cui non si conoscono le generalità. La pioggia aveva lavato via il suo sangue nel rigagnolo.
Il vicolo bagnato di pioggia nel quartiere di Pasay di Manila era la mia diciassettesima scena del crimine al mio undicesimo giorno nella capitale delle Filippine. Sono venuto a documentare la campagna sanguinosa e caotica contro la droga che il presidente Rodrigo Duterte ha cominciato dopo essersi insediato il 30 giugno 2016. Da allora, oltre 3000 persone sono state uccise per mano della polizia.
Durante i miei 35 giorni nel paese ho fotografato 57 vittime di omicidi in 41 diversi luoghi. Ho assistito a scene sanguinose quasi ovunque: per strada, sui binari ferroviari, fuori da una scuola per ragazze, in negozi 7 Eleven e nei McDonald’s, sui materassi nelle camere da letto e sui divani nei salotti.
Un giorno ho trovato un uomo morto davanti a un chiosco “sari sari“, ucciso con un colpo di pistola da due uomini in moto, una tattica comune chiamata “cavalcare in tandem”. In un altro quartiere, una bambola Barbie insanguinata giaceva accanto al corpo di una ragazza di 17 anni che era stata uccisa di fianco al suo ragazzo di 21 anni. «Ci stanno ammazzando come bestie», ha affermato un passante, troppo spaventato per dare il suo nome.
Ho anche fotografato veglie e funerali, una parte sempre più importante della vita quotidiana sotto la presidenza di Duterte. Parenti e preti raramente menzionano le cause brutali della morte. I corpi sono conservati nelle agenzie funebri, mentre i parenti faticano per mettere insieme i soldi necessari per il funerale. Nell’obitorio i morti sono impilati come legna da ardere, senza nulla che separi i cadaveri. Chi si occupa delle cerimonie funebri cerca di lucrare sulle salme di coloro che hanno una famiglia che può sostenere i costi, mentre gli altri finiscono in una fossa comune con altre vittime della guerra alla droga del presidente.
Ho lavorato in sessanta paesi, raccontato le guerre in Iraq e in Afghanistan e ho passato gran parte del 2014 a vivere nell’area colpita dall’ebola in Africa Occidentale in balia tra la paura e la morte, ma quello che ho vissuto nelle Filippine è stato un nuovo livello di crudeltà: agenti della polizia sparano in maniera sommaria a tutti coloro che sono sospettati di trafficare o utilizzare droga, vigilantes che rispondono alla chiamata del presidente Duterte a “macellarli tutti“.
BIOGRAFIA
Daniel Berehulak è un fotoreporter pluripremiato indipendente che vive a Mexico City in Messico.
Nato a Sydney, in Australia, Daniel ha visitato oltre 60 paesi raccontando eventi che hanno fatto la storia come la guerra in Iraq, il processo a Saddam Hussein, il lavoro minorile in India, le elezioni in Afghanistan e il ritorno di Benazir Bhutto in Pakistan. Ha inoltre documentato come le popolazioni hanno affrontato le conseguenze dello Tsunami in Giappone e del disastro di Chernobyl.
Ha vinto due Pulitzer Prize: nel 2015 nella categoria “Feature Photography” per il Il suo reportage sull’epidemia del virus ebola nell’Africa occidentale; nel 2017 nella categoria “Breaking News Photography” per la sua inchiesta circa la brutale campagna anti-droga del Presidente Duerte nelle Filippine. Ha inoltre vinto sei World Press Photo, due Photographer Of The Year di Pictures of the Year International e il prestigioso premio John Faber del Overseas Press Club.
Nato da genitori immigrati, Daniel è cresciuto in una fattoria fuori Sydney, in Australia. La loro praticità ucraina non considerava la fotografia una fonte di guadagno ragionevole perciò in giovane età Daniel ha lavorato in fattoria e presso la società di refrigerazione del padre. Dopo la laurea, ha iniziato umilmente la sua carriera fotografando incontri sportivi per un ragazzo che gestiva la sua attività dal garage. Nel 2002 ha iniziato a lavorare come freelance per Getty Images a Sydney, occupandosi soprattutto sport.
A partire da luglio 2013, Daniel ha intrapreso la carriera di freelance per concentrarsi su una combinazione di progetti personali a lungo termine, breaking news e lavori su commissione.
Collabora regolarmente con The New York Times.