Questo lavoro riguarda un viaggio. Non solo fisico, ma anche spirituale, fatto di esperienze e sentimenti. Realizzato in molti anni e attraverso centinaia di luoghi, eppure senza tempo e immobile. Un profondo tuffo nell’anima umana.
La vita mi ha portato a testimoniare la sofferenza e la crudeltà. Era stata una mia scelta, e il mio lavoro era combattere quella crudeltà e alleviare quella sofferenza. Quasi inutilmente, e con molta frustrazione. Il lavoro umanitario ha avuto il suo peso sulla mia anima.
La fotografia è diventata la mia fuga di guarigione. Mi ha portato a riconciliare la mia anima con ciò che era esterno a me. Con l’umanità. Con la natura. Con la vita. Ogni atto di scattare una foto è stato un istante di sollievo, forse solo un centesimo di secondo, ma è stato anche il momento finale di un lungo processo per ricongiungersi e avvicinarsi al resto del mondo.
La fotografia è stata per me come un ponte, un modo per comunicare con le persone senza l’uso di parole, solo attraverso sentimenti condivisi e sensazioni comuni.
Lavorando a questo progetto, con la mente che vagava di nuovo attraverso tutte quelle esperienze e atmosfere, qualcosa di casuale mi ha fatto improvvisamente ricordare i miei anni di scuola superiore, gli studi di culture antiche e la vecchia lingua greca. La mia anima mediterranea, di nuovo… mi è venuta in mente una parola: pathos. La capacità di ispirare emozioni nel pubblico per mezzo di un appello empatico.
Ho sempre sentito pathos intorno a me quando fotografavo: i soggetti delle mie immagini avevano il potere magico di attrarmi, di evocare in me ogni sorta di sentimento. Una chiamata alla quale non ho potuto non rispondere.
Questo lavoro è permeato dalla dualità del Bene e del Male, che è sempre affilata durante il tempo di guerra e che ho sperimentato in prima persona. Per me, il processo fotografico è diventato una “riscoperta” del mondo attraverso una lente critica: quella che permette di vedere la coesistenza del Bene e del Male ovunque e in tutti, spesso in forma metaforica, ma senza pessimismo o giudizi morali, semplicemente come un fatto. Ho cercato la violenza dove sembrava esserci pace e poesia dove ci dovrebbe essere solo dolore.
Senza alcun obiettivo giornalistico o documentario, mi sono limitato a incontrare persone, animali e a fondermi con l’ambiente, sempre alla ricerca di un contatto empatico con i soggetti delle mie foto che a volte erano il risultato di lunghe attese e conversazioni ancora più lunghe.
Ho camminato molto, ascoltando le voci e le emozioni che accoglievano i miei passi… l’ambigua ma indimenticabile bellezza degli angeli caduti, mentre i diavoli sorridenti mi facevano l’occhiolino da dietro un angolo… uno specchio che mi rimanda riflessi di tenerezza e compassione, tristezza e passione, desolazione e gioia.
Così tante ombre e così tanti raggi di sole.
Pathos è stato il mio compagno per tutto il mio viaggio fotografico.