Dubai è uno dei sette sceiccati che formano gli Emirati Arabi Uniti. Fino agli anni ’60, questo tratto di deserto poco ospitale nel Golfo Persico non aveva elettricità né acqua corrente. Fu la scoperta del petrolio nel 1966 a scatenare l’ondata di modernizzazione che cambiò drasticamente il volto della città. A tempo di record, Dubai si è trasformata in una città globale, dove il commercio, le proprietà immobiliari e il turismo sono diventati i suoi settori economici più importanti. La popolazione è passata da 183.000 abitanti nel 1975 ai quasi tre milioni di oggi. Di questi, solo il 10% è nativo degli Emirati, mentre il resto della popolazione è costituito da espatriati che risiedono e lavorano temporaneamente nell’Emirato. Il 75% della popolazione è di sesso maschile.
Nick Hannes è stato a Dubai cinque volte tra il 2016 e il 2018. Considerando la città come un caso di studio in un’urbanizzazione guidata dal mercato, egli la definisce come il più grande parco giochi per la globalizzazione e il capitalismo senza limiti o etica. In altre parole, una sala di intrattenimento fuori controllo, meticolosamente progettata per servire il consumismo più sfrenato.
Le fotografie di Hannes funzionano come un coltello affilatissimo che usa l’umorismo e l’ironia per attraversare questa metropoli del futuro. Ciò che rimane, per citare le parole dell’architetto olandese Rem Koolhaas, è una “città generica”, senza storia, personalità o identità, una città che è “indifferente ai suoi abitanti”. Per Hannes, è un luogo in cui “le attività umane sono ridotte al loro valore economico”.