Habibi è la cronaca di una storia d’amore ambientata in uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati: la guerra israelo-palestinese.
Questo progetto, le cui immagini sono state realizzate tra il 2015 e il 2019, è un modo per meglio comprendere le conseguenze della crisi palestinese sulle famiglie attraverso la storia delle mogli dei prigionieri che hanno fatto ricorso al contrabbando di sperma per concepire figli attraverso la fecondazione in vitro (FIV), in quanto i loro mariti stanno scontando pene a lungo termine nelle carceri israeliane. Negli ultimi 5 anni sono nati in questo modo più di 80 bambini.
Sono circa settemila i palestinesi classificati come detenuti di sicurezza di cui mille con sentenze di 25 anni e oltre. Israele li tiene prigionieri nelle carceri quando i reati presunti che hanno commesso o le condanne che sono state loro comminate sono considerati minacce, o potenziali minacce, alla sicurezza nazionale.
Le visite delle mogli vengono negate e i prigionieri palestinesi vedono i loro parenti prossimi solo per 45 minuti ogni due settimane, o non li vedono per nulla. Dopo un’accurata perquisizione, i visitatori possono parlare con i loro cari attraverso una finestra di vetro tramite un telefono. Il contatto fisico è vietato, tranne che con i figli dei detenuti, a cui sono concessi 10 minuti alla fine di ogni visita per abbracciare i loro padri. Durante queste brevi visite, alcuni prigionieri hanno consegnato di nascosto ai loro figli del liquido seminale. Con la scusa di dare regali ai loro bambini, i prigionieri mettono lo sperma nel tubicino vuoto delle penne e li nascondono all’interno di barrette di cioccolato. Questo è il modo clandestino con cui lo sperma dei prigionieri riesce a lasciare le celle, ed è l’unica speranza per queste donne di avere una famiglia. Le loro vite sono sospese nell’eterna attesa del ritorno dei loro amati. La fecondazione in vitro serve loro anche per non cedere alla condizione di prigionia dei mariti e affrontare con coraggio le difficoltà della vita quotidiana, dovendo poi però allevare figli da sole in una zona di guerra.
Quest’area del mondo viene troppo spesso mostrata unicamente come luogo di guerra e conflitto, piena di contrasti, soldati, azioni militari e armi. Habibi, che in arabo significa “amore mio”, cerca di mostrare l’impatto del conflitto sulle famiglie palestinesi analizzando le difficoltà che incontrano nel tentativo di preservare la loro dignità umana per spiegare la realtà che si nasconde dietro la guerra.