Nel mese di agosto 2017, centinaia di migliaia di persone appartenenti al gruppo etnico Rohingya si sono riversate in Bangladesh, in fuga dalle persecuzioni nel loro paese di origine, Myanmar. Oggi, un milione di rifugiati sono ospitati in accampamenti di fortuna nella regione di Cox’s Bazar, nel sud del Bangladesh e, mentre le loro condizioni di vita sono estremamente precarie, il futuro di queste famiglie rimane incerto.
Il progetto mira a documentare l’impatto ambientale di una migrazione di massa improvvisa, al fine di capire la relazione indissolubile tra l’essere umano e il suo ambiente, seguendo due narrazioni molto pressanti: la prima si riconduce alle persone che lottano per la propria sopravvivenza con poche risorse preziose e l’altra, invece, all’impatto della crisi su un ecosistema già debole e degradato. Questa rimane purtroppo una problematica nascosta, che non viene affrontata adeguatamente dalla comunità internazionale, specialmente nelle fasi di emergenza della crisi, nonostante le conseguenze che incidono drammaticamente sui rifugiati, direttamente esposti all’ambiente ospitante. La pressione sull’ecosistema locale è infatti insostenibile: la riserva naturale di Teknaf potrebbe scomparire entro il 2019, aumentando ed aggravando l’erosione del suolo ed il conseguente rischio di frane e inondazioni durante la stagione monsonica; le risorse idriche si degradano rapidamente; l’uso di legna da ardere, raccolto nella foresta, all’interno dei piccoli e angusti rifugi ha causato l’insorgere di un’epidemia di patologie dovute ad infezioni respiratorie acute, divenute la principale causa di mortalità tra i Rohingya.
Oggi abbiamo 68 milioni di rifugiati nel mondo, il numero più alto di sempre, e molte migrazioni di massa devono affrontare le stesse problematiche. In una regione particolarmente fragile di un paese che è uno dei più vulnerabili ai cambiamenti climatici nel mondo, la crisi ambientale che si sta svolgendo a Cox’s Bazar è un esempio significativo delle sfide poste dalle migrazioni di massa.