“Siamo venuti dal fuoco e al fuoco torneremo.”
Antico proverbio curdo
Questo antico proverbio curdo è stato mantenuto in vita grazie alla tradizione orale di una lingua minacciata – parlata in famiglia, nella privacy delle quattro mura, lontani dagli occhi vigili di sovrani e regimi, o cantata in montagna da poeti e ribelli dissidenti.
L’antica patria dei curdi – una minoranza etnica di quaranta milioni di persone – è oggi distribuita tra Turchia, Siria, Iraq e Iran e frammentata dai moderni confini di questi Stati.
Dopo il crollo dell’Impero ottomano, verso la fine della Prima guerra mondiale, l’accordo Sykes-Picot del 1916, approvato dal Regno Unito, dalla Francia e dall’Impero russo, garantiva ai curdi un proprio territorio contiguo e sovrano. Otto anni dopo, tuttavia, il trattato di Losanna modificò l’accordo originale e abolendo di fatto il sogno di indipendenza dei curdi. Con questo pezzo di carta, il Kurdistan è stato fatto a pezzi e consegnato alle sfere di influenza coloniale, formando la Turchia moderna e stabilendo i confini settentrionali di Siria e Iraq. La terra dei curdi fu così suddivisa in quattro diversi paesi, separando le linee tribali, i villaggi e persino le famiglie.
Il popolo curdo, che possedeva una propria cultura distinta, si trovò forzatamente assimilato al tessuto degli Stati etno-nazionalistici e i suoi abitanti furono percepiti come apolidi, nomadi senza documenti, la loro lingua vietata, furono perseguitati come cittadini di seconda classe.
Quando l’ultimo conflitto in Iraq e in Siria, a partire dal 2011, è sfuggito al controllo, i governi, che un tempo tenevano a freno i curdi, si sono ritrovati a fronteggiare sia i ribelli che le insurrezioni jihadiste. I curdi furono lasciati soli a difendersi dai gruppi estremisti che devastavano il territorio. Le fedi indigene pre-islamiche, così come la natura secolare della comunità curda sunnita, furono percepite come eretiche dai gruppi fondamentalisti come l’ISIS, che miravano a convertirli o sterminarli. La guerra dei curdi divenne una questione di sopravvivenza culturale o rischio di genocidio.
I ritratti di Lawrence sono, prima di tutto, uno studio etnografico che ci mostra i combattenti curdi come difensori di uno stile di vita distinto, così i come civili intrappolati tra parti in guerra. All’inizio della sua ricerca, si è reso conto che esistevano molte teorie su chi fossero questi gruppi di guerriglieri curdi. La stampa straniera ha spesso romanticizzato le donne nei loro ranghi, come donne guerriere senza paura, mentre amici turchi del fotografo li dipingevano come terroristi che si approfittavano di una guerra sanguinosa. Questo lavoro ha lo scopo di mostrare la verità, o almeno di fare comprendere meglio quali siano le sfumature dietro ai titoli. La fotografia di ritratto ha uno strano modo di umanizzare anche le situazioni più distanti, e questo era l’obiettivo di Lawrence con questo progetto.